Bolla .com: cosa fu, come avvenne, perché esplose

Alla fine degli anni ’90, Internet stava esplodendo e presto comparve la narrativa che qualsiasi attività sul web potrà crescere all’infinito. Da subito investitori, startup e anche pubblico comune iniziano a puntare tutto su aziende “.com”. Il semplice fatto di avere “Internet” o “web” nel nome bastava spesso a raccogliere finanziamenti, anche ingenti, e questa allucinazione formò un paradigma mentale: crescita a tutti i costi, anche senza utili, anche senza modelli sostenibili, bastava essere nel web. Il mercato iniziò a tollerare business che bruciavano capitali perché l’aspettativa era che, prima o poi, il volume di affari futuri avrebbe compensato.

Le valutazioni delle aziende tecnologiche salirono rapidamente a livelli stratosferici, spesso senza che ci fossero utili reali o flussi di cassa convincenti.

Gli investimenti di venture capital piovevano, facendo nascere progetti simili, alcuni ridondanti, mentre le aspettative di crescita future (mercato di massa, pubblicità, e-commerce) alimentavano l’entusiasmo collettivo, mentre le banche e gli istituzionali favorivano l’IPO delle società “Internet”, che diventavano sempre più visibili al grande pubblico, complice la rapida diffusione di internet in case e istituzioni.

Verso il 2000 il mercato era saturo di ottimismo, ma presto le debolezze strutturali si fecero sentire; infatti, come si temeva, molte aziende non avevano modello di ricavi sostenibile, e quando i flussi di capitali cominciarono a rallentare (VC più cauti, costo del denaro che saliva), le aziende senza fondamenta cominciarono ad avere problemi. Alcune società fallirono, altre si deprezzarono drasticamente, e più in generale il mercato tech subì una battuta d’arresto, con l’indice Nasdaq, che aveva scontato gran parte dell’entusiasmo, che perse gran parte del suo valore.

In sintesi l’espansione era molto più veloce del consolidamento, e l’ottimismo senza garanzie reali fu infine punito.

Le analogie tra la bolla .com e l’attuale “bolla AI”

Oggi alcuni analisti guardano all’onda di investimenti sull’intelligenza artificiale con diffidenza, ricordandosi di ciò che successe meno di trent’anni fa ed evidenziandone le  naturali somiglianze. Ma è proprio così?

La narrazione potente e magnetica, proprio come alla fine degli anni ’90, è molto simile. Allora si parlava di come internet cambierà tutto, e anche oggi si dice che l’AI trasformerà ogni industria. Le narrazioni, lo abbiamo imparato, alimentano la fiducia, e fanno sì che progetti ancora immaturi ottengano attenzione e capitale. Oggi come allora la scalata degli investimenti e valutazioni generose, portano le startup AI a ricevere miliardi, spesso con metriche finanziarie che non sono ancora solide. Il settore è considerato sicuro, molte aziende puntano sul futuro piuttosto che sui profitti reali, e anche se alcuni analisti sostengono che l’attuale bolla AI sia potenzialmente molto più grande di quella .com, si continua a investire. 

Ma attenzione, non tutti i parallelismi sono perfetti. Ci sono differenze strutturali che rendono la possibile bolla AI un fenomeno simile ma con caratteristiche nuove, e soprattutto incoraggianti. La prima differenza è sicuramente la migliore base di capitale. In molti casi, i giganti tech stanno investendo parte del loro cash flow (non solo capitale esterno) per alimentare l’AI, il che rende l’onda meno dipendente dal capitale esterno ad alto rischio. Inoltre l’AI, ne siamo consapevoli, beneficia di miglioramenti costanti nei chip, nell’efficienza, nelle architetture, nella ricerca di una tecnologia sempre più potente e compatta, nella creazione di hardware e software sempre più integrati, il che dà valore intrinseco agli investimenti, anche se l’adozione è lenta. 

Non scordiamoci il valore dell’esperienza. Dopo il 2000 ci si accorse troppo tardi che tutto era sopravvalutato. Oggi, memori di quella bolla, c’è più consapevolezza, più strumenti finanziari sofisticati, più regolamentazioni, che possono intervenire in caso di problemi o di un mercato troppo instabile. Se andiamo più a fondo possiamo anche notare che alcune aziende AI non sono modelli sperimentali, ma hanno già linee di business consolidate e che già lavorano e creano business. È altresì vero che la concentrazione e la dipendenza dalle grandi aziende rende questo gigante completamente interconnesso con queste, perciò ogni rallentamento di queste (Microsoft, Nvidia, Google, Meta…), potrebbe portare a un effetto domino forte e incontrollabile.  

In tutto questo discorso dobbiamo considerare un altro elemento importante. Per quanto le tecnologie AI siano sempre più presenti in ogni ambito della nostra vita, nessuno, al momento, è ancora riuscito a sfruttare il loro reale potenziale. In teoria chiunque abbia una giusta intuizione potrebbe  rivoluzionare l’idea di utilizzo di questa tecnologia, e non necessariamente deve essere un’azienda preparata o già presente nel panorama tech. Lo sappiamo, il futuro del web, dei suoi servizi e il ventaglio delle possibilità che questo mondo offre, è sempre enorme, potenzialmente infinito e in rapida evoluzione. Noi di yes-web cerchiamo di analizzarlo, farne una sintesi e proporvi ogni giorno le novità e le possibilità per il vostro business o le vostre idee. 

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