Chiusure online: quando la libertà incontra la legge
Negli ultimi mesi abbiamo visto sempre più casi di pagine social o di siti web che sono balzati agli onori della cronaca per comportamenti che hanno violato la legge. Questi, oltre a essere stati resi improvvisamente inaccessibili, saranno oggetto di un procedimento giudiziario. Per chi lavora con il digitale, come per chi ha investito tempo ed energie nella costruzione di una community, non si tratta mai di un dettaglio. È un colpo alla visibilità, alla reputazione e spesso anche al fatturato. È successo con la pagina Facebook di Mia Moglie, così come con il sito Phiga. Dietro questi episodi di mancanza di oggettificazione della donna, si nasconde una questione molto più grande: che cosa è ancora corretto fare online e quali sono i limiti da rispettare?
La libertà di espressione è un diritto fondamentale riconosciuto a livello costituzionale dall’articolo 21, e dalle leggi internazionali, eppure, nel mondo digitale, questo diritto incontra barriere nuove e meno visibili, cioè le regole imposte dalle piattaforme private. Facebook, Instagram, Google o TikTok non sono spazi neutri, ma ecosistemi regolati da policy interne che l’utente accetta al momento dell’iscrizione. Così, una chiusura può avvenire non solo quando si viola la legge, ma anche quando un contenuto non è conforme a parametri stabiliti unilateralmente da un’azienda, ma anche che rimanga visibile nonostante le diverse segnalazioni, creando un senso di incertezza e confusione.
È qui che il digitale incontra il diritto. Non parliamo più solo di linee guida di una piattaforma, ma di normative europee che impongono nuovi standard a chi crea e a chi ospita contenuti online. Il GDPR, il regolamento europeo sulla protezione dei dati, ha segnato una svolta epocale: grazie a questo regolamento i dati degli utenti non sono più un bene sacrificabile o vendibile, ma un diritto da tutelare a tutti gli effetti e, chi raccoglie, conserva o utilizza informazioni personali è chiamato a garantire trasparenza, consenso consapevole e proporzionalità nell’uso.
Accanto al GDPR troviamo il Digital Services Act (DSA), che ha introdotto un ulteriore livello di responsabilità. Questa non riguarda più solo la privacy, ma la gestione complessiva dei contenuti digitali. Le piattaforme non possono più limitarsi a chiudere pagine o siti in modo automatico, ma devono fornire motivazioni chiare, permettere ricorsi, garantire procedure trasparenti. Allo stesso tempo, gli utenti sono chiamati a una maggiore consapevolezza e attenzione; infatti, ora, pubblicare contenuti diffamatori, discriminatori o scorretti non è più solo una “violazione del regolamento interno”, ma può avere diverse conseguenze legali, anche penali.
In questo scenario, la chiusura di una pagina o di un sito non è più un episodio isolato, ma un campanello d’allarme. Ci ricorda che il web non è uno spazio senza legge, e che la vera forza di chi comunica online sta nel saper unire libertà e responsabilità. Un equilibrio fragile, certo, ma indispensabile per costruire un futuro digitale più giusto e sostenibile.
Questa nuova cornice normativa non è un ostacolo, ma un invito a cambiare prospettiva. Infatti, per anni il web è stato percepito come una zona franca, quasi un far west digitale dove tutto era possibile. Oggi non è più così. Ogni parola, ogni immagine, ogni scelta comunicativa lascia una traccia e si colloca dentro un contesto fatto di diritti e responsabilità.
Allora la domanda diventa inevitabile: come comunicare online in modo corretto, efficace e sicuro? La risposta, naturalmente, non sta nel rinunciare a esprimersi, ma nel farlo con maggiore attenzione, evitando di condividere qualunque contenuto, verificando le fonti, usando un linguaggio rispettoso, garantire la protezione dei dati dei clienti, costruire community basate sul dialogo e non sul conflitto.
Per un’agenzia come Yes-Web, che lavora ogni giorno con soluzioni digitali, questo è il terreno su cui si gioca la vera partita: aiutare imprese, professionisti e associazioni a crescere online non solo con creatività e strategia, ma anche con piena conformità alle regole. Perché nel 2025 l’innovazione digitale non è solo questione di algoritmi o di social media, ma di fiducia. E la fiducia si conquista rispettando le persone, i loro diritti e il quadro normativo che li tutela.