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La newsletter non è morta (anzi): come riscoprire il potere delle mail nell’era del fast marketing

Siamo bombardati ogni giorno da notifiche, banner, chiamate indesiderate e pop-up. Il marketing moderno ha perso, in alcuni casi per non dire spesso, il senso della misura. E proprio in questo scenario iperconnesso e spesso invadente, la vecchia cara newsletter via mail sta vivendo una seconda giovinezza. Ma attenzione, oggi non basta più spedire un messaggio promozionale ogni tanto, serve metodo, visione e soprattutto rispetto per chi sta dall’altra parte dello schermo.

Che cos’è (davvero) una newsletter?

La newsletter è una comunicazione periodica inviata via email a una lista di contatti che, in modo più o meno consapevole, hanno accettato di riceverla. Non è uno spam camuffato, e non dovrebbe mai diventarlo, ma è uno strumento utile per informare i clienti su novità, offerte o eventi, raccontare cosa accade dietro le quinte di un’azienda o costruire e coltivare una relazione.  E sì, oggi la parola chiave è proprio questa: relazione.

Perché oggi torna di moda?

Negli ultimi anni, molte aziende si sono accorte che i social sono affollati, gli algoritmi instabili e le pubblicità sempre più costose. Le mail, invece, arrivano dritte nella casella dell’utente, senza intermediazioni, e con un livello di attenzione più alto di quanto si pensi. In più, chi si iscrive a una newsletter lo fa di solito perché è davvero interessato a ciò che offriamo. Non ci troviamo davanti a un pubblico freddo, ma a persone che hanno già detto sì. Sta a noi non tradire quella fiducia.

C’è poi un altro aspetto da considerare, cioè il fastidio crescente verso il telemarketing tradizionale, dato dalle chiamate continue, numeri sconosciuti o operatori insistenti; tutto questo ha reso il pubblico sempre più allergico a questo tipo di contatto diretto. Le newsletter, al contrario, offrono un approccio meno invasivo, che rispetta i tempi e gli spazi del destinatario. Infatti una mail può essere letta (o ignorata) con un clic, senza la pressione di dover rispondere subito, senza disturbi. È un canale gentile. E oggi questa gentilezza è un valore.

Come renderla efficace (e non noiosa)

Ovviamente, lo abbiamo già visto, non basta inviare una mail ogni settimana per ottenere risultati. La newsletter deve essere curata, interessante, coerente con il tono dell’azienda e con le esigenze del target. Vediamo qualche principio base:

  • Scrivi solo quando hai qualcosa da dire: non c’è nulla di peggio che ricevere una mail solo perché è lunedì e la mandiamo ogni lunedì. Meglio meno invii ma di qualità, con contenuti che valga la pena leggere.
  • Sii umano: il tono dev’essere coerente con il tuo brand, ma non freddo. Usa un linguaggio chiaro, diretto, anche ironico se il contesto lo permette. Le persone leggono le mail come se fossero scritte per loro: fallo davvero.
  • Fai storytelling, non solo promozione : invece di dire ecco i nostri nuovi prodotti, racconta perché li hai lanciati, chi li ha creati, che problema risolvono. Una storia coinvolge di più di un listino prezzi.
  • Segmenta il pubblico: non tutti i clienti sono uguali. Un errore comune è inviare la stessa mail a tutti. Oggi, con i giusti strumenti, è possibile creare contenuti personalizzati, in base agli interessi, al comportamento o al tipo di cliente.
  • Rendi facile disiscriversi: sembra controintuitivo, ma è un segnale di trasparenza e rispetto. E chi si sente libero di andarsene è anche più incline a restare.
  • Cura l’oggetto della mail: è la prima cosa che si legge, spesso l’unica. Deve incuriosire senza essere clickbait, invogliare senza forzare. Un buon oggetto vale più di mille call to action.

Idee creative per newsletter che funzionano

Come abbiamo detto sopra, creare una newsletter, o una campagna di email marketing, prevede non solo la mera comunicazione di un offerta o promozione, ma la possibilità di raccontarci, di mostrare l’azienda o il servizio che offri. Vediamo qualche idea creativa, tra le tante, che possono essere uno strumento efficace:

  • Mini-racconti dal dietro le quinte: mostra cosa succede dentro l’azienda, con un tono personale.
  • Quiz, sondaggi, domande: stimolano l’interazione e fanno sentire il lettore parte del processo.
  • Contenuti esclusivi: anteprime, download riservati, consigli utili solo per gli iscritti.
  • Newsletter tematiche: crea rubriche fisse, appuntamenti regolari con un taglio editoriale.

La newsletter, perciò, non è un residuo del passato, ma uno strumento moderno, se usato con intelligenza. In un mondo stanco di messaggi aggressivi e telefonate invadenti, la mail può tornare a essere quel luogo privato e personale in cui le aziende parlano con rispetto, contenuto e autenticità. Per una web agency o un’azienda digitale, come noi di yes-web, oggi non si tratta più di fare una newsletter, ma di costruire un canale di dialogo, lento, costante e sincero. E questo, nel rumore generale di questi ultimi tempi, può diventare un vantaggio enorme.

Datacenter sottomarini: il futuro dell’innovazione passa dal fondo del mare

Quando pensiamo a internet, immaginiamo siti web, social, e-commerce, hacker, e tante altre cose. Ma dietro tutto questo, lo sappiamo bene noi addetti ai lavori, c’è una gigantesca infrastruttura fatta di server, cavi e centri di calcolo, cioè i datacenter. È un argomento che abbiamo già trattato in un altro articolo, e ne abbiamo già esaltato la tecnica e le prerogative, oggi però una nuova frontiera si sta facendo spazio silenziosamente, ma con grande potenziale. Parliamo dei datacenter sottomarini.

Cosa sono i datacenter sottomarini?

Sono, come ci dice il nome, centri di calcolo installati sotto il livello del mare, spesso dentro capsule o container stagni, immersi a decine di metri di profondità. Sembrano fantascienza, ma realtà come Microsoft li stanno già testando da anni. Infatti nel 2018, il colosso americano ha lanciato Project Natick, un esperimento che ha visto un datacenter lavorare per due anni sul fondo del mare in Scozia. I risultati? Promettenti: meno guasti, temperature stabili e una maggiore efficienza energetica. Nonostante i dati più che promettenti, come rivelato dall’azienda di Redmond: “sebbene al momento non disponiamo di data center sottomarini, continueremo a utilizzare Project Natick come piattaforma di ricerca per esplorare, testare e convalidare nuovi concetti sull’affidabilità e sostenibilità dei data center, ad esempio con l’immersione in liquidi”. Sarà interessante vedere come Microsoft sfrutterà le lezioni apprese da questo esperimento. L’azienda di Redmond avrà infatti bisogno di costruire più data center in futuro, per migliorare i suoi servizi dedicati all’intelligenza artificiale.

Anche la Cina investe nel mare

La Cina non è rimasta di certo a guardare. Recentemente, la China Offshore Oil Engineering Company, in collaborazione con altre realtà tecnologiche, ha completato la costruzione del primo datacenter sottomarino commerciale nel Mar Cinese Meridionale. Si tratta di un impianto avanzato, progettato per essere modulare, efficiente e scalabile. L’obiettivo è chiaro: ridurre i consumi energetici e garantire servizi cloud più rapidi e stabili, in linea con la crescente richiesta di dati nel paese. La Cina, che ha già implementato i suoi server con l’AI di Deepseek, punta a rendere questa tecnologia parte integrante della propria infrastruttura digitale, sfruttando al massimo le sue vaste coste.

Perché sotto il mare?

Vero, quando pensiamo a qualunque struttura sottomarina, la nostra mente va subito a pensare a tutte le complicazioni ingegneristiche della sfida. Ma, nonostante la sfida tecnologica, questa soluzione offro diversi, e importanti, vantaggi:

Raffreddamento naturale: i server generano molto calore e tenerli al fresco è costoso. L’acqua del mare offre una soluzione economica e sostenibile.

Risparmio energetico: meno energia per il raffreddamento significa bollette più leggere e meno impatto ambientale.

Maggiore affidabilità: incredibilmente, i datacenter sottomarini sembrano avere meno problemi hardware. L’ambiente chiuso e controllato riduce l’usura delle macchine.

Scalabilità e rapidità: Un datacenter subacqueo può essere costruito e messo in funzione più velocemente rispetto a uno tradizionale.

Una tecnologia con prospettive interessanti

Per chi non lavora nel mondo del web, questa tecnologia può sembrare lontana, ma non lo è. I datacenter sottomarini potrebbero rappresentare una svolta anche per le web agency, le piattaforme online e i servizi cloud, soprattutto in un’ottica di sostenibilità e performance. Immagina di ospitare il tuo sito su server più veloci, più stabili e più green. Non è solo una questione tecnica, è una scelta di visione, che può fare la differenza anche nella comunicazione e nel posizionamento del brand.

Naturalmente siamo solo all’inizio. Servono ancora test, investimenti e studi di lungo periodo. Ma la direzione è chiara: il mare potrebbe diventare uno dei grandi alleati della rete del futuro. In un mondo dove la domanda di dati cresce ogni giorno, e noi di yes-web lo sappiamo bene, trovare soluzioni intelligenti e sostenibili non è più un’opzione ma una necessità.

Trend social: cosa sono, come nascono e perché non possiamo farne a meno

Ormai siamo abituati a vederli, capirli, anticiparli e cavalcarli, e si, ci piacciono. Nel mondo dei social media, i trend sono come onde, arrivano improvvisi, crescono rapidamente e travolgono tutto e tutti. Ma cosa sono esattamente? Perché certi contenuti diventano virali mentre altri restano invisibili? E perché, all’improvviso, il nostro feed si riempie di foto, e perché proprio in stile Studio Ghibli o Action Figure? Vediamo di rispondere insieme a queste domande e capire di cosa parliamo e di come possiamo sfruttare queste manifestazioni web.

Cosa sono i trend social?

Un trend social è un contenuto, uno stile, una sfida o un format che inizia a essere riproposto e reinterpretato da un numero crescente di utenti su piattaforme social come TikTok, Instagram, Facebook o X. Può trattarsi di un audio, un filtro, un meme, un hashtag o una nuova estetica visiva, l’importante è che tutti cavalchino l’onda del momento e facciano parte di queste piccole tribù del web. Il punto di forza dei trend, infatti, è la replicabilità: questi devono essere semplici da adottare, divertenti da condividere e capaci di generare un senso di appartenenza o reazione immediata, anche se gli ultimi trend che vengono da generazione di immagini tramite chat gpt, hanno bisogno di varie prove e prompt dedicati, comunque subito messi a disposizione dagli utenti più esperti. Pensiamo solo che il trend delle action figure è stato ripreso addirittura da molte testate giornalistiche nazionali.

Come nasce un trend?

I trend possono nascere da qualunque cosa: un video virale, un’immagine creata dalle AI, una battuta riuscita, una canzone catchy o l’ultima novità tech. Spesso iniziano in una nicchia e si espandono a macchia d’olio grazie agli algoritmi che li premiano in termini di visibilità. Quando un contenuto inizia a ricevere molte interazioni (like, condivisioni, commenti), le piattaforme lo spingono automaticamente nei per te o tra i contenuti consigliati, dando il via a una vera e propria corsa alla replica. E da qui il web inizia a riempirsi di consigli, tutorial, post dedicati, rendendo il trend una vera e propria moda, da vivere, o sfruttare per fini pubblicitari o d’immagine. 

Il caso Ghibli: un esempio di trend virale

Uno degli esempi più recenti e affascinanti è il trend delle foto modificate in stile Ghibli. Tutto è partito da un mix perfetto: nostalgia, estetica e intelligenza artificiale. Gli utenti hanno iniziato a trasformare le proprie foto, selfie, panorami, scatti urbani,  in illustrazioni che sembrano uscite direttamente da un film di Hayao Miyazaki, con quei colori pastello, le atmosfere sospese e i dettagli poetici tipici dello Studio Ghibli. Il trend ha preso piede su TikTok e Instagram grazie a reel e caroselli che mostrano il prima e dopo, accompagnati spesso da colonne sonore tratte dai film dello Studio. L’effetto? Emozione, magia e una pioggia di condivisioni. Brand, creator e semplici utenti ci si sono buttati a capofitto, sfruttando tool di AI e app di editing per cavalcare l’onda.

Perché i trend sono importanti per i brand

Per un’agenzia o un’azienda come yes-web, intercettare un trend può essere un’occasione d’oro. Significa parlare lo stesso linguaggio del pubblico, posizionarsi come aggiornati e rilevanti e, soprattutto, aumentare l’engagement in modo organico. L’importante è farlo con intelligenza e coerenza con la propria identità. 

Non tutti i trend naturalmente sono utilizzabili, possono essere un complemento divertente alla nostra brand identity, richiamare la moda del momento e farci percepire come aggiornati e stilosi, ma non dobbiamo abusarne. Infatti, visto la natura spesso ironica e giocosa di questi, è importante saperli usare, capire se andranno in conflitto con la mission aziendale e, non scordiamolo, bisogna prestare una determinata attenzione allo sfruttamento dei diritti, soprattutto in aziende di una certa rilevanza. 

Ricorda, i trend social non sono solo moda del momento, ma sono segnali, conversazioni globali, strumenti creativi che ci dicono molto su cosa le persone vogliono vedere, dire e condividere. Per sfruttarli appieno necessitano di un’attenta analisi, e spesso di rivolgersi a un professionista del web per inserirli in un piano di marketing digitale più ampio o sfruttarli al meglio. Ma, lo sappiamo, quando c’è di mezzo un po’ di magia o divertimento resistere è davvero impossibile.

Archiviamo tutto. I database

In questi giorni abbiamo visto come l’amministrazione Trump, nella sua guerra contro la woke culture, abbia oscurato dai database presidenziali delle parole che, secondo lui, non sono in linea col rinnovato modo di interpretare la società. Naturalmente non è nostro compito criticare o parlare di queste scelte, ma possiamo usare l’argomento per allacciarci a un discorso che spesso si valuta e poco si conosce, cioè il cosa è un database e come funziona.

Sinteticamente un database è un insieme di dati organizzati in modo che sia facile cercarli, modificarli e gestirli. Possiamo immaginarlo come un grande archivio digitale, simile a una libreria ben organizzata, in cui ogni libro (dato) ha un posto preciso e può essere trovato velocemente. Naturalmente questa è solo la prima definizione sommaria, andiamo a analizzare meglio.

Chi usa i database?

I database sono usati da tantissime persone e aziende, e non solo da enti governativi, e in misura maggiore o minore, le aziende li usano per conservare informazioni su clienti, ordini e prodotti, gli ospedali li usano per gestire i dati dei pazienti e delle visite, le banche li utilizzano per registrare i movimenti di denaro, mentre i siti web e le app (come Facebook, Amazon o Netflix) li usano per memorizzare informazioni sugli utenti e i contenuti. Come abbiamo già accennato sopra anche i governi utilizzano i database per archiviare file, cartelle, e tutto ciò che riguarda la storia di uno Stato. 

Come funziona un database?

Un database, anche se spesso si tende a considerarlo uno strumento complesso,  in realtà ha un funzionamento molto semplice, ed essenzialmente raccoglie i dati in tabelle, che sono come fogli di calcolo con righe e colonne, anche se un po più complesso. Le righe rappresentano i singoli elementi (es. un cliente, un prodotto, una transazione, una legge, un avvenimento), mentre le colonne contengono i dettagli di questi elementi, come nome, prezzo, data di acquisto, ma anche foto e documenti in generale. Come visto possiamo avere database semplici come quelli di un negozio che contengono pochi dati per ogni cliente, o più complessi come quelli di un’organizzazione finanziaria o di un governo, che servono per archiviare decine di migliaia di dati.

Perciò un database è un sistema che serve per archiviare e organizzare dati in modo strutturato. Lo si può immaginare come un grande archivio digitale, dove le informazioni vengono salvate in tabelle, simili a fogli Excel.

Per iniziare a usare un database, prima bisogna sceglierne uno. I più comuni sono MySQL, PostgreSQL e SQLite. Alcuni, come SQLite, non richiedono installazione e funzionano con un semplice file. Una volta installato il programma, il primo passo è creare un nuovo database e poi una tabella. Una tabella è composta da colonne (che definiscono i tipi di dati, come nomi, numeri o date) e da righe (che contengono i dati veri e propri). Per aggiungere dati, si usa un comando chiamato INSERT, per leggerli si usa SELECT, per modificarli UPDATE e per cancellarli DELETE.

Tenere i dati al sicuro

Sicuramente il problema più importante del quale tenere conto, in maniera maniacale, è quello legato alla sicurezza. Infatti, essendo i nostri dati su supporti digitali o in qualche server di un data center, a meno che non ci costruiamo un archivio offline interno, potrebbero essere soggetti a attacchi informatici. Iniziamo col dire che la sicurezza di questi è una questione di ampio spettro; infatti non c’è solo la sicurezza informatica da tutelare, attraverso le best practices come password complesse, crittografia o procedure sicure, ma anche quella fisica, legata al rischio di un furto materiale del server o di un disco di esso. Oggi grazie alle Ai e alle machine learning, possiamo monitorare in tempo reale ogni piccolo mutamento, rendendo le procedure di sicurezza più veloci e efficaci. Infine, pare banale ma non lo è, è sempre una buona pratica fare dei backup per non perdere i dati importanti.

I database sono strumenti essenziali per organizzare e gestire informazioni in modo efficiente. Sono usati da aziende, enti pubblici, piattaforme digitali e anche da noi di yes-web naturalmente, per conservare dati in modo sicuro e accessibile. Anche se sembrano complicati, il loro funzionamento si basa su concetti semplici come tabelle, righe e colonne, e con gli strumenti giusti usarli e modificarli diventa facile e accessibile a tutti. Ora, sappiamo bene che ogni azienda e ogni attività è diversa, ma se anche tu vuoi iniziare a usare questo strumento, e scoprire le sue innumerevoli capacità e opportunità, saremo lieti di mostrartele e creare la soluzione migliore per te.

Trend di design e web: quando le mode non funzionano

Ogni anno, il mondo del design viene travolto da nuove tendenze, da nuovi colori, dal Pantone dell’anno, font innovativi, layout avveniristici e stili grafici rivoluzionari. Ma quello che funziona sulle passerelle e alle riviste patinate non sempre si adatta perfettamente al web. Infatti se da un lato le mode offrono spunti interessanti per il design digitale, dall’altro non sempre risultano compatibili con l’esperienza utente, l’accessibilità e la funzionalità di una pagina web, rivelandosi anche un’arma a doppio taglio se non si riesce a bilanciare innovazione e praticità nel design in un sito web. 

Il fascino delle mode nel web design

Ogni anno, i designer aspettano con ansia l’annuncio del colore Pantone dell’anno, le nuove tendenze tipografiche e i trend grafici più in voga. E puntuale come ogni anno, anche il 2025 ha il suo colore, il mocha mousse, una tonalità calda di marrone pregna di una ricchezza innata che nutre con la sua suggestione della qualità deliziosa del cacao, del cioccolato e del caffè. Una descrizione interessante, intrigante, peccato che, parole a parte, ogni altro aspetto ricordi tutto tranne che un mocaccino. Lo stesso accade con i font: ogni anno emergono nuovi caratteri tipografici che sembrano ridefinire il design contemporaneo, ma che spesso, anche se queste mode possano ispirare progetti creativi e accattivanti, non risultano efficaci nell’ambito del web design.

Quando i trend non funzionano

    1. Colori bellissimi, ma poco pratici: lo abbiamo già accennato sopra, il colore Pantone dell’anno viene spesso celebrato come il simbolo estetico di un’epoca, ma non è detto che sia adatto a un’interfaccia digitale. Ad esempio, una tonalità molto chiara, o  molto scura, potrebbe compromettere la leggibilità del testo, mentre una troppo vivace potrebbe risultare stancante per l’utente. Inoltre alcuni colori di tendenza non rispettano i criteri di accessibilità WCAG (Web Content Accessibility Guidelines), rendendo difficile la lettura per utenti con disabilità visive o in condizioni di scarsa illuminazione. Se un sito web punta tutto sul trend cromatico senza considerare questi aspetti, rischia di perdere visitatori e penalizzare l’esperienza utente.
  • Font di tendenza, ma illeggibili: negli ultimi anni, i font decorativi e sperimentali hanno conquistato il design grafico. Tuttavia, alcuni di essi, sebbene affascinanti, risultano illeggibili su schermi piccoli, rallentano il caricamento del sito (se pesanti) e non si adattano bene a tutte le risoluzioni. Un esempio? I caratteri ultra-sottili o con contrasti estremi tra spessori possono risultare belli sulla carta stampata, ma difficili da leggere su schermi di bassa qualità o in contesti di illuminazione variabile. Per questo, anche pensando al mondo mobile che veicola il 90% delle visualizzazioni, nella scelta tipografica per un sito web è fondamentale bilanciare estetica e leggibilità.
  • Layout Innovativi, ma poco intuitivi: ogni anno emergono nuovi trend di impaginazione, come il brutalismo digitale, il glassmorphism o il neumorphism. Sebbene questi stili possano sembrare innovativi e accattivanti, a volte finiscono per confondere l’utente. Un esempio concreto è il neumorphism, uno stile che crea effetti tridimensionali e ombreggiature per dare profondità agli elementi. Bello da vedere, ma spesso poco pratico, i pulsanti risultano poco distinguibili, la gerarchia visiva viene sacrificata e l’utente fatica a navigare intuitivamente nel sito.

Ricordati sempre che se un design è troppo artistico e non segue principi di UX (User Experience), può portare a un’alta frequenza di rimbalzo, ovvero utenti che abbandonano il sito dopo pochi secondi perché non capiscono come interagire con esso.

Come integrare i trend senza compromettere la funzionalità

Allora, dovremmo ignorare completamente le mode nel web design? Assolutamente no, altrimenti ci sarebbe un solo stile di sito web, dove a cambiare sarebbero solo i numeri delle pagine. La chiave è trovare un equilibrio tra estetica, accessibilità e usabilità. Il primo passo è testare il colore in contesti reali, cioè verificare che abbia un buon contrasto con il testo e rispetti le linee guida di accessibilità. Può essere usato per accenti e dettagli senza sacrificare la leggibilità. I font, croce e delizia di ogni sito, devono essere leggibili e versatili. Se un font di tendenza ti affascina, usalo per titoli o elementi decorativi, ma affiancalo a un carattere più leggibile per i testi principali. Se vuoi adottare un layout sperimentale, assicurati che sia comunque intuitivo per l’utente medio. Mantieni chiare le CTA (Call to Action) e evita strutture troppo complesse. Nel caso, se hai un font o qualche elemento decorativo personalizzato, si può integrare per creare unicità e personalizzazione. 

Ricorda sempre, prima di lanciare un design ispirato alle ultime mode, fai qualche test con utenti reali per capire se migliora o peggiora l’esperienza di navigazione, coinvolgi le persone più fidate, controlla sui vari dispositivi e fidati del web designer, come noi di yes-web, che ti chiediamo di controllare costantemente su più dispositivi.  I trend di design possono essere un’ottima fonte di ispirazione, ma vanno adottati con criterio. Un sito non deve solo essere bello da vedere, ma anche funzionale, accessibile e intuitivo. La regola d’oro? Non inseguire le mode a tutti i costi, ma adattarle ed equilibrarle alle esigenze degli utenti e agli obiettivi del progetto. Solo così potrai creare un sito web che sia al tempo stesso moderno ed efficace.